giovedì 13 febbraio 2014
Lista Tsipras, l’impossibile si può fare. Dipende da te
Paolo Flores d’Arcais, da il Fatto quotidiano, 13 febbraio 2014:
“È perfettamente esatto, e confermato da tutta l’esperienza storica, che il possibile non verrebbe raggiunto se nel mondo non si ritentasse sempre l’impossibile”. Non è un sognatore a parlare così, ma un classico del più esigente realismo politico, Max Weber.
La lista della società civile alle prossime elezioni europee, il cui nome verrà deciso con una consultazione on line sul sito www.listatsipras.eu durante questo weekend, corrisponde alla lettera ai canoni di questo realismo.
Sembrava un’impresa impossibile, la solita velleità di qualche intellettuale che gioca all’engagement (così ghignavano i soloni dell’establishment). Eppure, in pochi giorni, 24 mila cittadini hanno aderito, non con una firma tanto per mettersi a posto la coscienza, ma offrendo disponibilità a essere protagonisti attivi nel lavoro organizzativo e comunicativo per realizzare questa lista. E in forme artigianali, dunque talvolta a tentoni e con inevitabili errori, si stanno organizzando fin nelle più piccole città.
D’altro canto, le adesioni più note (da fratel Arturo Paoli, 102 anni, medaglia d’oro per la sua azione durante la Resistenza, figura imprescindibile del cristianesimo contemporaneo, a Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Corte costituzionale, a Furio Colombo, Curzio Maltese, Adriano Prosperi, Lorenza Carlassare, Corrado Stajano, Moni Ovadia, Carlo Freccero. Andrea Scanzi, Luciano Canfora, Roberta De Monticelli, Ermanno Rea, Nadia Urbinati, Massimo Carlotto...) testimoniano di quanto sia ampio lo spettro dell’opinione pubblica che vive come una amputazione claustrofobica di democrazia la prospettiva che riduce la libertà di voto all’alternativa “o Renzi o Grillo”.
L’appello “l’Europa al bivio”, lanciato da Andrea Camilleri, Luciano Gallino, Marco Revelli, Barbara Spinelli, Guido Viale (e chi scrive), dopo la giornata italiana di Alexis Tsipras (il leader greco in testa ai sondaggi nel suo paese, e che sarà il candidato alla presidenza europea di questa lista) sta dunque diventando realtà. L’“impossibile” – una lista autonoma della società civile che sfondi lo sbarramento del 4% – si sta rivelando un possibile in via di raggiungimento. Un acuto giornalista come Riccardo Barenghi, inizialmente assai scettico, lo ha riconosciuto su La Stampa in una cronaca esemplare per onestà. E l’ammissione che la “linea Tsipras” è l’unica ragionevole perché l’Europa (quella dei cittadini) non tracolli sotto le cure micidiali della cancelliera Merkel e della finanza d’azzardo, ogni giorno che passa fa nuovi proseliti e tra breve diventerà senso comune.
Non solo fra gli economisti riformisti, ormai perfino dentro il Pd. Lo riconosce Civati nel suo blog, lo riconosce Fassina in un lungo articolo su il manifesto. Peccato che entrambi, con impavido sprezzo della logica aristotelica, restando nel confortevole calduccio del Pd, continuino a portare vasi alla Samo della “Grosse Koalition” europea che Merkel e Schulz (candidato del Pd) hanno già messo nella bisaccia. Ma il coraggio..., come diceva un personaggio del Manzoni, con quel che segue.
Cambiare l’Europa si può. Cambiamo l’Europa, con Tsipras, è quindi il realistico messaggio, affidato a ciascun cittadino. Perché la concreta possibilità non si vanifichi, guardiamo però il bicchiere mezzo vuoto. Le difficoltà. Gli ostacoli. Le insidie.
150 mila firme, di cui almeno 30 mila in ciascuna circoscrizione (compresa quella che riguarda solo Sicilia e Sardegna) e almeno 3 mila in ciascuna regione (compreso il Molise e la piccolissima Valle d’Aosta), certificate da notai o pubblici ufficiali comunali: sono una enormità. Esprimono la ferrea volontà dei partiti già rappresentati in Parlamento di difendere gelosamente il loro monopolio, sbarrando la porta alla società civile e alle sue liste.
Una enormità. Che però si può raggiungere. Se una parte rilevante dell’associazionismo democratico, impegnato in questi venti anni in una miriade di lotte locali e nazionali, spesso vittoriose e poi “tradite” per mancanza di rappresentanza (l’acqua pubblica, ad esempio) si mobiliterà pienamente.
Se i ventiquattromila cittadini che hanno firmato non aspetteranno che “dall’alto” (siamo quattro gatti!) arrivino risorse organizzative, ma inventeranno tutti i modi per auto-organizzarsi, utilizzando il sito www.listatsipras.eu per coordinarsi e moltiplicare le energie.
Se i piccoli partiti che vogliono davvero combattere, in Europa come in Italia, il regime asfittico delle larghe intese sosterranno questa iniziativa senza pregiudiziali.
Se il mondo della cultura e della scienza vedrà un ampliarsi ulteriore delle adesioni, e se quello del cinema, della musica, dello spettacolo, vedrà fiorire uno slancio di passione civile e di impegno lucido e generoso, tanto più essenziale quando il monopolio mediatico d’establishment cerca di annegare una iniziativa scomoda nel silenzio.
Mentre la politica “politicosa” dei palazzi continua nelle sue beghe di potere, questi “se” possono trasformarsi in altrettanti “sì”, dimostrando che c’è un mare di cittadini pronto a riprendersi la politica anziché rassegnarsi.
mercoledì 12 febbraio 2014
Lista Tsipras: comunicato di Sinistra Anticapitalista
Alcuni stralci del comunicato apparso sul sito di Sinistra Anticapitalista dal titolo "Lista Tsipras: potenzialità e limiti":
"La candidatura e il ruolo centrale di Tsipras nella costruzione della proposta, il riferimento alla rete di liste che si raccoglieranno anche in altri paesi attorno alla sua candidatura faranno sì che la lista che si formerà avrà un volto positivamente internazionalista, in contrasto sia con i ripiegamenti nazionali che con le politiche dell’austerità.
"[...] l’iniziativa si presenta fin d’ora capace di una certa credibilità, di un reale dinamismo nelle adesioni e con una potenzialità politica di partecipazione che non può essere sottovalutata. [...]. La figura di Tsipras, il riferimento alle lotte greche, un carattere sociale più marcato, una gestione più politica sono tutti fattori che possono renderla più attrattiva per aree della sinistra sociale e politica deluse, che vogliono però reagire al ripiegamento e alla passività.
"[Ma] al momento attuale gli elementi positivi che si possono intravvedere nella proposta sono ampiamente controbilanciati da ambiguità e da un profilo che si sta facendo molto meno convincente.
Ovviamente anche Sinistra Anticapitalista auspica che lo sbarramento antidemocratico non riesca ad impedire la presenza nelle istituzioni di proposte combattive e alternative, ma considera soprattutto che le elezioni, anche quelle europee, vadano utilizzate per portare a settori popolari più ampi un messaggio di speranza e diverso nei contenuti.
"Sinistra Anticapitalista, perciò, non aderisce alla lista in formazione, anche se vuole mantenere aperto un dialogo sul metodo e sui contenuti con tutte e tutti coloro che hanno partecipato e parteciperanno nelle prossime settimane alle discussione e alla organizzazione della lista.
"Quanto all’indicazione di voto, questa potrà essere definita quando il volto e il programma saranno chiari e saranno rese note le candidature.
"La partita di quale sarà il tipo di campagna non è ancora sciolto e anche da questo dipenderà una indicazione di voto.
"Sinistra Anticapitalista, in ogni caso, avrà una sua specifica campagna elettorale europea, con un’impostazione di fondo anticapitalista e internazionalista, incentrata contro le politiche dell’austerità, contro l’Europa del Fiscal compact, per l’unità delle lotte delle lavoratrici dei lavoratori, per la costruzione di un’altra Europa, così come ampiamente descritto nei nostri documenti recenti.
Leggi il comunicato integrale
"La candidatura e il ruolo centrale di Tsipras nella costruzione della proposta, il riferimento alla rete di liste che si raccoglieranno anche in altri paesi attorno alla sua candidatura faranno sì che la lista che si formerà avrà un volto positivamente internazionalista, in contrasto sia con i ripiegamenti nazionali che con le politiche dell’austerità.
"[...] l’iniziativa si presenta fin d’ora capace di una certa credibilità, di un reale dinamismo nelle adesioni e con una potenzialità politica di partecipazione che non può essere sottovalutata. [...]. La figura di Tsipras, il riferimento alle lotte greche, un carattere sociale più marcato, una gestione più politica sono tutti fattori che possono renderla più attrattiva per aree della sinistra sociale e politica deluse, che vogliono però reagire al ripiegamento e alla passività.
"[Ma] al momento attuale gli elementi positivi che si possono intravvedere nella proposta sono ampiamente controbilanciati da ambiguità e da un profilo che si sta facendo molto meno convincente.
Ovviamente anche Sinistra Anticapitalista auspica che lo sbarramento antidemocratico non riesca ad impedire la presenza nelle istituzioni di proposte combattive e alternative, ma considera soprattutto che le elezioni, anche quelle europee, vadano utilizzate per portare a settori popolari più ampi un messaggio di speranza e diverso nei contenuti.
"Sinistra Anticapitalista, perciò, non aderisce alla lista in formazione, anche se vuole mantenere aperto un dialogo sul metodo e sui contenuti con tutte e tutti coloro che hanno partecipato e parteciperanno nelle prossime settimane alle discussione e alla organizzazione della lista.
"Quanto all’indicazione di voto, questa potrà essere definita quando il volto e il programma saranno chiari e saranno rese note le candidature.
"La partita di quale sarà il tipo di campagna non è ancora sciolto e anche da questo dipenderà una indicazione di voto.
"Sinistra Anticapitalista, in ogni caso, avrà una sua specifica campagna elettorale europea, con un’impostazione di fondo anticapitalista e internazionalista, incentrata contro le politiche dell’austerità, contro l’Europa del Fiscal compact, per l’unità delle lotte delle lavoratrici dei lavoratori, per la costruzione di un’altra Europa, così come ampiamente descritto nei nostri documenti recenti.
Leggi il comunicato integrale
martedì 11 febbraio 2014
I dieci punti di Tsipras
In sintesi gli elementi del programma di Tsipras:
Obiettivi:
1) Fine dell'austerità. Soluzione Comprensiva del debito. Reflazione coordinata delle economie
2) Trasformazione ecologica della produzione. Sostenibilità
3) Riforma delle politiche dell'immigrazione. Protezione dei diritti umani
Attuazione:
1) Superare le politiche di austerità
2) New Deal Europeo
3) Espansione dei prestiti diretti all'impresa
4) Politiche per la disoccupazione
5) Sospensione del nuovo sistema fiscale europeo
6) Costituzione di una vera banca europea
7) Bilanciamento macroeconomico
8) Istituzione di una Conferenza del Debito Europeo
9) Separazione delle attività commerciali e gli investimenti bancari
10) Tassare le attività speculative e offshore
I dieci punti di Tsipras
Furio Colombo sull'intervento di Tsipras al Valle
Dall'articolo Alexis Tsipras: Europa e Italia, la speranza parla greco di Furio Colombo (Il Fatto Quotidiano, 9 febbraio 2014)
[...] "Le proposte che il giovane deputato greco vuole condividere con la sua folla di militanti anziani di tante sinistre italiane che non sanno più dove andare o per chi votare, sono di due tipi: una strategia di salvezza da una crisi che non è affatto finita e che può fare ancora molte vittime. E un assetto diverso dell’Europa. Dunque una cosa è chiara, e appare subito opposta alle due mortali visioni italiane: l’Europa non si rinnega anche se ha imposto un percorso di errori. Ma gli errori non si venerano come se fossero le tavole di una legge superiore. Le democrazie si cambiano o si correggono con le elezioni.
"Il primo punto della intensa presentazione di Tsipras è il debito. Sotto il peso del debito, se l’Europa continua a esigerlo da implacabile esattore, come ai tempi di Dickens, ci sono Paesi destinati a morire. Come avevano detto e ripetuto, finora invano, i due Nobel per l’economia Stiglitz e Krugman, nessuna grande crisi, da quella del 1929 negli USA alla rinascita della Germania nell’ultimo dopoguerra, è mai avvenuta senza la remissione del debito.
"Quando si dice “piano Marshall per l’Europa” è di qui che bisogna partire: affrontare con una visione chiara e realistica il problema del debito che attanaglia tutti i Paesi del Sud e che gli stessi generatori del debito (governi, banche, classi agiate) tendono ad attribuire alla esosità dei poveri. Qui si colloca il tema immenso del costo del lavoro che Tsipras propone così: “Come salvare l’Europa dall’Europa”, visto che la minaccia non è la povertà (a meno di farla crescere invece di affrontarla) e non è il costo del lavoro, poiché isolando e abbandonando chi lavora si blocca ogni ripresa e si resta a languire nella deflazione. Il problema è una politica del lavoro che non esiste. E un controllo attento, intelligente, delle grandi risorse economiche, affinché non svaniscano, senza tasse, in pura finanza apolide.
"Nell’immaginazione realistica e concreta del deputato greco, il parlamento europeo dovrà avere un ruolo vero, vincolante, finora mai avuto. La attuale camera di consultazione che lascia libere le mani di tutti, e si espone alle decisioni di centri di potere extra-politici, legati a ben altri interessi, ci inchioda alla crisi. Tsipras introduce due concetti che non dovrebbero mancare nella campagna elettorale del maggio prossimo: il problema del debito, che non può essere abbandonato sulle spalle dei poveri, del lavoro e di una nuova vasta classe di esclusi. E i Paesi del Sud, che sono indispensabili all’Europa ma usati troppo facilmente come capri espiatori e colpevoli perenni, esposti a un giudizio e a una condanna senza fine". [...]
[...] "Le proposte che il giovane deputato greco vuole condividere con la sua folla di militanti anziani di tante sinistre italiane che non sanno più dove andare o per chi votare, sono di due tipi: una strategia di salvezza da una crisi che non è affatto finita e che può fare ancora molte vittime. E un assetto diverso dell’Europa. Dunque una cosa è chiara, e appare subito opposta alle due mortali visioni italiane: l’Europa non si rinnega anche se ha imposto un percorso di errori. Ma gli errori non si venerano come se fossero le tavole di una legge superiore. Le democrazie si cambiano o si correggono con le elezioni.
"Il primo punto della intensa presentazione di Tsipras è il debito. Sotto il peso del debito, se l’Europa continua a esigerlo da implacabile esattore, come ai tempi di Dickens, ci sono Paesi destinati a morire. Come avevano detto e ripetuto, finora invano, i due Nobel per l’economia Stiglitz e Krugman, nessuna grande crisi, da quella del 1929 negli USA alla rinascita della Germania nell’ultimo dopoguerra, è mai avvenuta senza la remissione del debito.
"Quando si dice “piano Marshall per l’Europa” è di qui che bisogna partire: affrontare con una visione chiara e realistica il problema del debito che attanaglia tutti i Paesi del Sud e che gli stessi generatori del debito (governi, banche, classi agiate) tendono ad attribuire alla esosità dei poveri. Qui si colloca il tema immenso del costo del lavoro che Tsipras propone così: “Come salvare l’Europa dall’Europa”, visto che la minaccia non è la povertà (a meno di farla crescere invece di affrontarla) e non è il costo del lavoro, poiché isolando e abbandonando chi lavora si blocca ogni ripresa e si resta a languire nella deflazione. Il problema è una politica del lavoro che non esiste. E un controllo attento, intelligente, delle grandi risorse economiche, affinché non svaniscano, senza tasse, in pura finanza apolide.
"Nell’immaginazione realistica e concreta del deputato greco, il parlamento europeo dovrà avere un ruolo vero, vincolante, finora mai avuto. La attuale camera di consultazione che lascia libere le mani di tutti, e si espone alle decisioni di centri di potere extra-politici, legati a ben altri interessi, ci inchioda alla crisi. Tsipras introduce due concetti che non dovrebbero mancare nella campagna elettorale del maggio prossimo: il problema del debito, che non può essere abbandonato sulle spalle dei poveri, del lavoro e di una nuova vasta classe di esclusi. E i Paesi del Sud, che sono indispensabili all’Europa ma usati troppo facilmente come capri espiatori e colpevoli perenni, esposti a un giudizio e a una condanna senza fine". [...]
lunedì 10 febbraio 2014
Anche Sel a sostegno di Tsipras
Nicola Fratoianni spiega ad Affaritaliani.it come Sel sta organizzando la lista unitaria a sostegno di Tsipras: "Quella che stiamo organizzando non è una coalizione di partiti, né una somma di sigle, ma una lista unitaria che sostenga Tsipras alle prossime Europee". Nicola Fratoianni, deputato di Sel, è uno di quelli che più si è speso perché al congresso di Riccione il partito guidato da Vendola scegliesse di sostenere Tsipras. "Vogliamo creare una lista di amministratori locali e pezzi della società civile sostenuti da Sel, come da altri partiti". E sul criterio di definizione del simbolo: "Pubblicheremo alcune proposte che ruotano attorno al tema dell'altra Europa e faremo una consultazione online"[...] "Sel ha fatto un congresso, vero e interessante. Alla fine abbiamo scelto, a larghissima maggioranza, di sostenere Tsipras e di provare a costruire una vasta lista unitaria in Italia per sostenere la sua candidatura. Il 15 febbraio, all'Assemblea nazionale di Sel che eleggerà i gruppi dirigenti, prenderemo anche una decisone definitiva sulla partecipazione a questa lista".
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Lista Tsipras: la posizione dei Comunisti Italiani
Csare Procaccini (PdCI): "Gravissima ed irresponsabile l'azione del governo Alfano/Letta". Questo il giudizio di Cesare Procaccini, segretario del Pdci, al termine dei lavori del Comitato Centrale. "E' nostro dovere - continua Procaccini - ridare forza alla sinistra per rispondere, con proposte di giustizia ed eguaglianza, all'attacco che le politiche di austerity portano alle condizioni delle lavoratrici e dei lavoratori e dei giovani. E' a causa di queste politiche se oggi c'è nel Paese un profondo immiserimento e un acuirsi a dismisura delle diseguaglianze: pochi sempre più ricchi, la maggioranza sempre più povera. Si tratta di scelte politiche non più tollerabili che hanno ridotto il tessuto produttivo all'agonia, in alcuni casi allo sfascio. Noi comunisti non assiteremo senza reagire allo sfascio e alla diseguaglianza. Per questo il Comitato Centrale del Pdci si è espresso a favore dell'impegno del partito per la costruzione di un fronte, che chiameremo Sinistra del Lavoro, assieme ad altre forze politiche, movimenti e associazioni: si tratta di una proposta che si rivolge al mondo del lavoro e che vuole fare del lavoro e dello sviluppo il nodo centrale della sua azione. Il Comitato Centrale - aggiunge Procaccini - ha inoltre deciso l'adesione del Pdci alla Lista Tsipras che si presenterà alle elezioni europee collocata nel gruppo del Gue. Abbiamo nei confronti di Alexis Tsipras un rapporto di grande stima e fiducia. Il segretario di Syriza, il secondo partito in Grecia che i sondaggi indicano come il prossimo vincitore, è un uomo di sinistra, strenuo oppositore delle ricette neoliberiste che hanno ridotto la popolazione greca in condizioni di estrema povertà. Ci muoveremo quindi in due direzioni, conclude Procaccini: da una parte, con Sinistra del lavoro, una prima ricomposizione unitaria di forze di sinistra, per intervenire nel tessuto sociale disastrato. Dall'altra, con la lista di Tsipras, con l'obiettivo di mutare radicalmente il carattere, la fisionomia stessa di un'Europa che non porta sviluppo ma solo miseria e distruzione".
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Revelli, la sinistra e la mossa del cavallo
Revelli: "Credo che l’unica strada sia quella di un appello indipendente, esplicitamente autonomo, su un discorso molto ampio e molto aperto, che individua quello che Tsipras e il suo partito rappresentano e che chieda di appoggiare quella candidatura senza necessariamente identificarsi con l’integralità di quell’appello ma appunto sostenendo il leader di Syriza. Ricostruendo uno spazio di convergenza all’interno del quale tutti coloro che pensano che avere il leader della sinistra greca, anziché il rappresentante delle larghe intese tedesche, alla guida dell’Europa come progetto, come segnale, come presa di posizione, sia importante".
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domenica 9 febbraio 2014
Tsipras: «Europa, cambieremo gli equilibri. E al Pse: i piccoli passi non bastano»
«Vogliamo cambiare gli equilibri per cambiare l’Europa. La nostra posizione è chiara. Il problema semmai è dei socialdemocratici che a parole criticano l’Europa dell’austerità ma ne hanno condiviso tutte le scelte». Ieri, secondo giorno della tappa italiana del suo tour elettorale, il leader greco Alexis Tsipras partecipa all’esecutivo del partito della sinistra europea (Se) di cui è vicepresidente. 29 partiti, ospiti di Paolo Ferrero del Prc («Dobbiamo rompere la finta alternativa fra europeisti liberisti e destre anti-euro, due forme di oscurantismo. La scommessa è unire tutti quelli che credono in questo progetto»); fra gli altri ci sono Pierre Laurent del francese Pcf, la spagnola Maite Mola del Pce-Izquierda Unida (che lancia un’iniziativa comune contro la legge anti-aborto del governo Rajoy), i dirigenti della tedesca Linke e del Bloco de Esquerda portoghese. L’esecutivo torna a riunirsi oggi, ma ha già annunciato per il 10 aprile un vertice a Bruxelles sul debito.
[da Il Manifesto, 9/2/2014]
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[da Il Manifesto, 9/2/2014]
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sabato 8 febbraio 2014
Sinistra Anticapitalista per una lista alternativa
"In queste settimane molte forze e diversi gruppi sociali ed intellettuali si sono mossi per costruire, intorno alla figura di Tsipras e nel riferimento al ruolo di Syriza in Grecia, una lista alternativa pur all’interno di un percorso abbastanza accidentato in cui si sono manifestate anche forzature e tentativi di affermare primogeniture od esclusioni, ma in cui la discussione ha coinvolto a tutto campo migliaia di compagne e compagni. Noi consideriamo positivi tutti gli sforzi per la costruzione di una lista di sinistra chiaramente alternativa al PD e quindi al PSE"
martedì 4 febbraio 2014
Elezioni europee, Tsipras e il Mediterraneo
di Piero Bevilacqua – "Il manifesto"
La trappola in cui si trova incastrata l’Italia è ormai evidente non solo ai tecnici e ai politici che hanno contribuito a costruirla. Da una parte è vincolata ai ceppi della moneta unica e a una politica di austerità perfino costituzionalmente imposta, dall’altra ha una strada sbarrata: l’impossibilità di uscire dall’euro e di ritrovare la propria autonomia monetaria senza un collasso economico-finanziario di imprevedibili proporzioni. Il nostro Paese, come altri dell’Unione, subisce oggi una doppia perdita di sovranità.
Da una parte patisce quel che patiscono tutte le realtà nazionali: la crescente sottrazione di potere da parte delle nuove feudalità finanziarie internazionali. Come un tempo i baroni insidiavano il potere del re sul territorio, allo stesso modo grandi banche e finanza occulta – « gli ignoti sovrani », come li chiama Guido Rossi — condizionano la vita e la politica economica dei governi. Ma al tempo stesso noi, come gli altri stati d’Europa, abbiamo perduto lo strumento che da millenni, insieme alla forza militare, fonda la sovranità degli stati: la moneta. Ora, qualunque uomo di stato – figura di cui in Italia si è persa traccia e temiamo anche la “semenza” — da tempo avrebbe indirizzato i propri sforzi a raccordare le forze europee interessate a combattere la guerra di distruzione sociale ingaggiata dalla Troika e dalla Germania contro l’Unione. I governanti italiani avrebbero dovuto mantenere contatti febbrili non solo con la Francia, ma anche con la Spagna, con la Grecia, con il Portogallo, con l’Irlanda E non solo con i loro governi, anche con i loro popoli, la loro gioventù, gettati nella disperazione dalla crisi e dalla politica di austerità. Avrebbero dovuto contrastare una pratica autoritaria di governo dell’Unione con la forza e la mobilitazione di una parte vasta di popoli che ne fanno parte. Certo, ai politici nostrani questa sarebbe apparsa come una iniziativa populistica: ci si muove attraverso le istituzioni rappresentative, non si mobilita il popolo. Ma questo popolo, come ricorda Fitoussi nel Teorema del lampione, vede ormai da troppo tempo la politica economica dell’Unione «indipendente da ogni processo democratico». E si può costruire un grande edificio sovranazionale senza mobilitare le grandi masse dei vari paesi? In realtà l’Unione sta cancellando la più grande pagina di emancipazione politica della seconda metà del ‘900: l’avvento della democrazia. Vale a dire la società democratica, quella avanzata forma di vita associata che nasce dopo la seconda guerra mondiale. Nasce allora, perché quelle precedenti, a parte fascismo e nazismo, anche in Usa, erano solo società liberali.
Ma oggi in Italia l’ inerzia e il vuoto tramestìo da parte delle forze del centro-sinistra e del governo in carica, si combinano con un atteggiamento attendista e con una inettitudine di manovra che sgomenta. Si crede di esorcizzare il sisma sociale che va sgretolando il paese annunciando riprese prossime venture, uscite dai tunnel, scatti, crescita, ecc. consumando 9 mesi per riformare l’Imu: con l’effetto di non cambiare nulla della pressione fiscale, e aggiungendo supplementari e frustranti difficoltà al cittadino contribuente. Un’altra bandierina pubblicitaria recente è il semestre europeo dell’Italia, che naturalmente non cambierà assolutamente nulla della nostra sorte, come nulla hanno cambiato i precedenti semestri per i paesi di turno. Pura politica degli annunci, la sola dimensione in cui pare essersi rifugiata la superstite creatività del ceto politico del nostro tempo. Ma nulla autorizza svolte e riprese senza un cambiamento radicale della politica dell’Unione. Usando prudentissimi condizionali, il Bollettino di gennaio della Banca d’Italia ricorda implacabile: «il miglioramento dell’economia si trasmetterebbe con i consueti ritardi alle condizioni del mercato del lavoro:l’occupazione potrebbe tornare a espandersi solo nel 2015». Il «2015»! «potrebbe»!
Sul piano politico non è chi non veda il grande pericolo che è davanti a noi. Oggi in Italia, a criticare in maniera radicale e convincente la politica autoritaria e antipopolare della Ue è la destra e il movimento 5 Stelle. L’irresponsabile “senso di responsabilità” del centro sinistra sta consegnando alla destra la critica all’austerità, questo terreno irrinunciabile per salvare il nostro paese e la stessa Unione. Di questo passo il governo Letta prepara le condizione di un successo elettorale del centro destra dagli esiti imprevedibili.
Di fronte a questo scenario uno spiraglio importante si apre con le prossime elezioni europee. La candidatura a presidente del Parlamento di Alexis Tsipras — caldeggiato, su questo giornale, da molti compagni e promosso ora da un importante gruppo di intellettuali (il manifesto, 18 gennaio) — incarna una scelta politica densa di significati e di opportunità. Tsipras e non Martin Schulz – degna persona – perché il leader tedesco è il rappresentante di una partito, la Sdp, che ha scambiato, entrando nel governo di coalizione, i vantaggi nazionali per il proprio elettorato con l’accettazione della politica di austerità sostenuta dalla Cdu e dalla Merkel. Una scelta apertamente antieuropea, di egoismo nazionalistico simile (non nella gravità, ma nella condotta politica) a quella del 1914, che portò i socialisti tedeschi ad appoggiare l’entrata in guerra del loro paese. Come opportunamente ricordato da Gad Lerner (Repubblica, 4. 1. 2014). Una candidatura, aggiungiamo, calata dall’alto, senza nessuna contrattazione, assunzione di impegni, senza nessun sondaggio dell’opinione del popolo della sinistra.
Ma Tsipras merita il nostro appoggio anche per altre ragioni. Non solo perchè incarna una critica radicale ma costruttiva nei confronti dell’Unione. Egli è il leader di Syriza, un partito che ha conseguito il 16% dei consensi, grazie a una paziente politica di tessitura delle disperse forze della sinistra greca. Syriza è una lezione per tutti noi. Per noi che costituiamo, senza dubbio, una delle costellazioni politico-intellettuali fra le più variegate e creative dell’Occidente, ma non riusciamo a solidificare la nostra fluida vitalità in un organismo unitario e potente. Abbiamo sviluppato sino al parossismo il gusto della distinzione e della differenza e abbiamo perduto l’intelligenza strategica che ci consegnava la tradizione comunista italiana: la ricerca dell ‘unità. La ricomposizione delle diversità e dei conflitti interni come orizzonte imprescindibile per sconfiggere l’avversario.
Qualcuno ricorda che Gramsci volle chiamare Unità il giornale del suo partito? Ma c’è un’ altra ragione, di grande portata, da aggiungere alle tante che nelle ultime settimane sono state espresse, per la quale dobbiamo sostenere Tsipras. Anche la campagna elettorale in suo favore deve essere un primo passo per riprendere il dialogo tra l’Europa e i paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Oggi il Mare Nostrum, il cuore di una delle più fiorenti civiltà della storia, è diventato per questa “Europa carolingia” un focolaio di disordine migratorio, un problema di polizia frontaliera. Eppure, già dalla metà degli anni ‘8o del secolo passato, Francia e Spagna avevano avviato una timida politica di cooperazione con alcuni paesi africani.
Le iniziative sono culminate nel 1995, dando corso al cosiddetto “processo di Barcellona”, che pur con molti limiti e parzialità, avviava un nuovo protagonismo mediterraneo dell’Europa. Tutto pare finito. Oggi il mondo arabo viene percepito dall’opinione pubblica occidentale come una fucina ingovernabile di fondamentalismi. Si interpretano i suoi estremismi come la semplice evoluzione di una religione intollerante al cospetto della modernità. In realtà essi costituiscono in gran parte la reazione irrazionale e distruttiva alla violenza multiforme dell’Occidente. Alla oltraggiosa mercificazione della vita dei suoi modelli culturali, oltre che e ai vecchi e nuovi soprusi coloniali. Oggi l’Europa mediterranea deve elaborare la sua verità storica. Non possiamo continuare ad assecondare la vulgata americana sul Medioriente. Non possiamo dimenticare che lo stato di Israele ha violato le risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu per oltre 70 volte , togliendo prestigio e legittimità a questo organismo, creando uno stato di illegalità permanente nelle relazioni internazionali del nostro tempo. Non possiamo sorvolare sulla disonestà sistemica dei governi Usa, che per 60 anni hanno tenuto in piedi fantocci dittatoriali utili alla diplomazia imperiale ed “esportato democrazia”, quando è sembrato conveniente, con i bombardamenti aerei e il massacro delle popolazioni. Non è possibile pensare che tale politica non crei reazioni violente, rinfocolando divisioni interne, rivalità etniche, terrorismo. Non è possibile dialogare con popoli tenuti per secoli sotto lo scarpone coloniale con i vecchi schemi novecenteschi.
Oggi dobbiamo elaborare un nuovo dialogo con questi paesi, di cooperazione paritaria, di aiuti, di creazione di condizioni di benessere. L’evoluzione di un grande continente, l’Africa, che peserà sul destino dell’Europa, dipende anche dalle nostre scelte. Perciò la sinistra che guarda al Mediterraneo può essere portatrice di nuovi ed esaltanti orizzonti di politica estera. Per questa via essa può rendere evidente sino al ridicolo la pochezza dei tecnocrati che ci governano, mostrare che l’avvenire del Continente è finita in mano ai sacerdoti di un culto defunto.
La trappola in cui si trova incastrata l’Italia è ormai evidente non solo ai tecnici e ai politici che hanno contribuito a costruirla. Da una parte è vincolata ai ceppi della moneta unica e a una politica di austerità perfino costituzionalmente imposta, dall’altra ha una strada sbarrata: l’impossibilità di uscire dall’euro e di ritrovare la propria autonomia monetaria senza un collasso economico-finanziario di imprevedibili proporzioni. Il nostro Paese, come altri dell’Unione, subisce oggi una doppia perdita di sovranità.
Da una parte patisce quel che patiscono tutte le realtà nazionali: la crescente sottrazione di potere da parte delle nuove feudalità finanziarie internazionali. Come un tempo i baroni insidiavano il potere del re sul territorio, allo stesso modo grandi banche e finanza occulta – « gli ignoti sovrani », come li chiama Guido Rossi — condizionano la vita e la politica economica dei governi. Ma al tempo stesso noi, come gli altri stati d’Europa, abbiamo perduto lo strumento che da millenni, insieme alla forza militare, fonda la sovranità degli stati: la moneta. Ora, qualunque uomo di stato – figura di cui in Italia si è persa traccia e temiamo anche la “semenza” — da tempo avrebbe indirizzato i propri sforzi a raccordare le forze europee interessate a combattere la guerra di distruzione sociale ingaggiata dalla Troika e dalla Germania contro l’Unione. I governanti italiani avrebbero dovuto mantenere contatti febbrili non solo con la Francia, ma anche con la Spagna, con la Grecia, con il Portogallo, con l’Irlanda E non solo con i loro governi, anche con i loro popoli, la loro gioventù, gettati nella disperazione dalla crisi e dalla politica di austerità. Avrebbero dovuto contrastare una pratica autoritaria di governo dell’Unione con la forza e la mobilitazione di una parte vasta di popoli che ne fanno parte. Certo, ai politici nostrani questa sarebbe apparsa come una iniziativa populistica: ci si muove attraverso le istituzioni rappresentative, non si mobilita il popolo. Ma questo popolo, come ricorda Fitoussi nel Teorema del lampione, vede ormai da troppo tempo la politica economica dell’Unione «indipendente da ogni processo democratico». E si può costruire un grande edificio sovranazionale senza mobilitare le grandi masse dei vari paesi? In realtà l’Unione sta cancellando la più grande pagina di emancipazione politica della seconda metà del ‘900: l’avvento della democrazia. Vale a dire la società democratica, quella avanzata forma di vita associata che nasce dopo la seconda guerra mondiale. Nasce allora, perché quelle precedenti, a parte fascismo e nazismo, anche in Usa, erano solo società liberali.
Ma oggi in Italia l’ inerzia e il vuoto tramestìo da parte delle forze del centro-sinistra e del governo in carica, si combinano con un atteggiamento attendista e con una inettitudine di manovra che sgomenta. Si crede di esorcizzare il sisma sociale che va sgretolando il paese annunciando riprese prossime venture, uscite dai tunnel, scatti, crescita, ecc. consumando 9 mesi per riformare l’Imu: con l’effetto di non cambiare nulla della pressione fiscale, e aggiungendo supplementari e frustranti difficoltà al cittadino contribuente. Un’altra bandierina pubblicitaria recente è il semestre europeo dell’Italia, che naturalmente non cambierà assolutamente nulla della nostra sorte, come nulla hanno cambiato i precedenti semestri per i paesi di turno. Pura politica degli annunci, la sola dimensione in cui pare essersi rifugiata la superstite creatività del ceto politico del nostro tempo. Ma nulla autorizza svolte e riprese senza un cambiamento radicale della politica dell’Unione. Usando prudentissimi condizionali, il Bollettino di gennaio della Banca d’Italia ricorda implacabile: «il miglioramento dell’economia si trasmetterebbe con i consueti ritardi alle condizioni del mercato del lavoro:l’occupazione potrebbe tornare a espandersi solo nel 2015». Il «2015»! «potrebbe»!
Sul piano politico non è chi non veda il grande pericolo che è davanti a noi. Oggi in Italia, a criticare in maniera radicale e convincente la politica autoritaria e antipopolare della Ue è la destra e il movimento 5 Stelle. L’irresponsabile “senso di responsabilità” del centro sinistra sta consegnando alla destra la critica all’austerità, questo terreno irrinunciabile per salvare il nostro paese e la stessa Unione. Di questo passo il governo Letta prepara le condizione di un successo elettorale del centro destra dagli esiti imprevedibili.
Di fronte a questo scenario uno spiraglio importante si apre con le prossime elezioni europee. La candidatura a presidente del Parlamento di Alexis Tsipras — caldeggiato, su questo giornale, da molti compagni e promosso ora da un importante gruppo di intellettuali (il manifesto, 18 gennaio) — incarna una scelta politica densa di significati e di opportunità. Tsipras e non Martin Schulz – degna persona – perché il leader tedesco è il rappresentante di una partito, la Sdp, che ha scambiato, entrando nel governo di coalizione, i vantaggi nazionali per il proprio elettorato con l’accettazione della politica di austerità sostenuta dalla Cdu e dalla Merkel. Una scelta apertamente antieuropea, di egoismo nazionalistico simile (non nella gravità, ma nella condotta politica) a quella del 1914, che portò i socialisti tedeschi ad appoggiare l’entrata in guerra del loro paese. Come opportunamente ricordato da Gad Lerner (Repubblica, 4. 1. 2014). Una candidatura, aggiungiamo, calata dall’alto, senza nessuna contrattazione, assunzione di impegni, senza nessun sondaggio dell’opinione del popolo della sinistra.
Ma Tsipras merita il nostro appoggio anche per altre ragioni. Non solo perchè incarna una critica radicale ma costruttiva nei confronti dell’Unione. Egli è il leader di Syriza, un partito che ha conseguito il 16% dei consensi, grazie a una paziente politica di tessitura delle disperse forze della sinistra greca. Syriza è una lezione per tutti noi. Per noi che costituiamo, senza dubbio, una delle costellazioni politico-intellettuali fra le più variegate e creative dell’Occidente, ma non riusciamo a solidificare la nostra fluida vitalità in un organismo unitario e potente. Abbiamo sviluppato sino al parossismo il gusto della distinzione e della differenza e abbiamo perduto l’intelligenza strategica che ci consegnava la tradizione comunista italiana: la ricerca dell ‘unità. La ricomposizione delle diversità e dei conflitti interni come orizzonte imprescindibile per sconfiggere l’avversario.
Qualcuno ricorda che Gramsci volle chiamare Unità il giornale del suo partito? Ma c’è un’ altra ragione, di grande portata, da aggiungere alle tante che nelle ultime settimane sono state espresse, per la quale dobbiamo sostenere Tsipras. Anche la campagna elettorale in suo favore deve essere un primo passo per riprendere il dialogo tra l’Europa e i paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Oggi il Mare Nostrum, il cuore di una delle più fiorenti civiltà della storia, è diventato per questa “Europa carolingia” un focolaio di disordine migratorio, un problema di polizia frontaliera. Eppure, già dalla metà degli anni ‘8o del secolo passato, Francia e Spagna avevano avviato una timida politica di cooperazione con alcuni paesi africani.
Le iniziative sono culminate nel 1995, dando corso al cosiddetto “processo di Barcellona”, che pur con molti limiti e parzialità, avviava un nuovo protagonismo mediterraneo dell’Europa. Tutto pare finito. Oggi il mondo arabo viene percepito dall’opinione pubblica occidentale come una fucina ingovernabile di fondamentalismi. Si interpretano i suoi estremismi come la semplice evoluzione di una religione intollerante al cospetto della modernità. In realtà essi costituiscono in gran parte la reazione irrazionale e distruttiva alla violenza multiforme dell’Occidente. Alla oltraggiosa mercificazione della vita dei suoi modelli culturali, oltre che e ai vecchi e nuovi soprusi coloniali. Oggi l’Europa mediterranea deve elaborare la sua verità storica. Non possiamo continuare ad assecondare la vulgata americana sul Medioriente. Non possiamo dimenticare che lo stato di Israele ha violato le risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu per oltre 70 volte , togliendo prestigio e legittimità a questo organismo, creando uno stato di illegalità permanente nelle relazioni internazionali del nostro tempo. Non possiamo sorvolare sulla disonestà sistemica dei governi Usa, che per 60 anni hanno tenuto in piedi fantocci dittatoriali utili alla diplomazia imperiale ed “esportato democrazia”, quando è sembrato conveniente, con i bombardamenti aerei e il massacro delle popolazioni. Non è possibile pensare che tale politica non crei reazioni violente, rinfocolando divisioni interne, rivalità etniche, terrorismo. Non è possibile dialogare con popoli tenuti per secoli sotto lo scarpone coloniale con i vecchi schemi novecenteschi.
Oggi dobbiamo elaborare un nuovo dialogo con questi paesi, di cooperazione paritaria, di aiuti, di creazione di condizioni di benessere. L’evoluzione di un grande continente, l’Africa, che peserà sul destino dell’Europa, dipende anche dalle nostre scelte. Perciò la sinistra che guarda al Mediterraneo può essere portatrice di nuovi ed esaltanti orizzonti di politica estera. Per questa via essa può rendere evidente sino al ridicolo la pochezza dei tecnocrati che ci governano, mostrare che l’avvenire del Continente è finita in mano ai sacerdoti di un culto defunto.
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