martedì 4 marzo 2008

Bertinotti: solo noi a volere un cambio radicale



Bertinotti: solo noi a volere un cambio radicale Dal candidato della Sinistra una svolta nella campagna elettorale Duro col Pd che candida «falchi padronali» e autocritico su Prodi


Si, il clima della campagna elettorale è cambiato. E ad interpretare questo mutamento di senso e di intensità, intanto, è la novità che si è prodotta a sinistra, appunto la Sinistra Arcobaleno. Erano lo stesso tono, lo stesso stile oratorio, la stessa passione del suo candidato premier, Fausto Bertinotti, a segnalarlo nel discorso tenuto domenica nel teatro Ambra Jovinelli traboccante di partecipanti, davvero diversi fra loro. E ancora Bertinotti, di questo cambiamento della competizione politica, ha dato conto, analiticamente, ieri sera nel confronto con Pier Ferdinando Casini a Porta a Porta . Ha infatti risposto a Bruno Vespa che per quanto riguarda la sinistra «sì, è cambiato il nostro approccio nei confronti del Partito democratico e di Veltroni». Perché dopo che lui stesso, Bertinotti, aveva fatto appello per «bandire la logica dei "fratelli-coltelli"» e misurarsi con il programma piddino «sull'efficacia delle proposte di alternativa alle destre», dopo questo è arrivato altro: proprio per mano del Pd, "in concorso" con il Popolo delle libertà berlusconiano.Anzitutto la «scelta», convergente, di agire «un sistematico martellamento» diretto a «ridurre l'immagine della competizione ad un duopolio». Ma poi, prima Berlusconi e poi Veltroni hanno deciso di brandire la «truffa», il «messaggio illiberale» del «voto utile». E dal Pd, con le dichiarazioni di Anna Finocchiaro «mai smentite da Veltroni», si è arrivati a «fare appello a votare solo uno dei due maggiori partiti, suggerendo che votare per il Pdl sarebbe al limite preferibile a dare il voto alla Sinistra e perciò spingendosi a sollecitare un tradimento del proprio stesso campo». Dunque, sì: la sinistra ha a sua volta cambiato tono. Per una ulteriore causa scatenante: ed è che il Pd ha esibito il fondamento profondo di questo accanimento, di questa pulsione escludente verso sinistra, che sta nella riproposizione d'un «pensiero unico» sulla società. E' emerso definitivamente con la conferma della candidatura del «falco padronale», il presidente di Federmeccanica, il rappresentante dei «discendenti di Valletta».D'altra parte, è la realtà stessa a premere la campagna elettorale. Uno sfondo che si macchia di sangue a sprazzi, dietro il velame di messaggi di fuoriuscita da ogni concezione del conflitto sociale, da ogni denuncia del «sistema di dominazione» che così si propone di lasciar riprodurre «all'infinito», come Bertinotti ha gridato domenica all'Ambra Jovinelli. Lo gridava, là, facendosi soprendere con la voce strozzata in gola a ricordare il 39enne «operaio e compagno» Fabrizio Cannonero, morto a Genova «camallo tra i camalli» e soprattutto morto proprio come suo padre. E Bertinotti ha dovuto ripeterlo ieri sera, davanti alle telecamere Rai di Vespa, per commentare il fatto del giorno, piombato sull'inizio della trasmissione come uno squarcio di verità: la nuova strage del lavoro, di dimensioni paragonabili a quelle della Thyssen torinese, stavolta all'altro capo del Paese, in quella maledetta cisterna di zolfo a Molfetta. Un coro tragico che la Sininistra Arcobaleno cerca di raccogliere e, comunque, sola può farlo: come Bertinotti ancora domenica sottolineava, alzando la voce nella rivendicazione che è «la vera novità» è questo «soggetto unitario e plurale fondato sulla condivisione della critica radicale al modello economico e sociale».Così è di nuovo solo con la sola sinistra, Bertinotti, a invocare dopo la strage di Molfetta la risposta più semplice e immediata, che dovrebbe essere atto dovuto d'una politica pubblica, del governo e dello Stato: la convocazione immediata, stamattina stessa, d'un consiglio dei ministri straordinario per «approvare in via definitiva i decreti attuativi della nuova normativa per la sicurezza sul lavoro». E, poi, solitudine anche nel pretendere ciò che ugualmente dovuto sarebbe da parte del servizio pubblico: di nuovo oggi stesso, stasera, la «trasmissione in prima serata d'un film, uno qualunque, sui morti sul lavoro» - e Bertinotti fa l'esempio di quello di Daniele Segre - per «dare uno choc al Paese, far vedere questa realtà inaccettabile».Ma Bertinotti ricorda che «politiche» sono le «responsabilità» anche in questo «dramma»: che dalle «politiche del lavoro» deriva, anzi dalle «politiche economiche e sociali», ossia sul mercato del lavoro come sull'organizzazione produttiva, con le quali si è «trascinato il Paese in uno sforzo di competizione basato sull'abbattimento dei salari, sulla regressione dei diritti e sulla flessibilità». Dunque, per rispondere davvero a e di quei morti, è queste politiche che «bisogna cambiare».E così il discrimine tra sinistra e «riformismo non di sinistra», come Veltroni ha detto a El Paìs , è rilevato nella sua maggiore profondità: o almeno lo è quello tra sinistra e «un centrosinistra che guarda al centro», che Bertinotti all'Ambra Jovinelli domenica ha concesso come la «più ottimista» definizione del Pd. Un «centrosinistra» la cui deriva verso destra nell'asse generale della politica e della concezione della società, pure, non è irreversibile, ma ad una sola condizione: che sia fatta forte e sia così fatta valere una sinistra, unico fattore di «possibile inversione» in futuro anche dell'orientamento piddino.Non solo per il lavoro, non solo per «la classe», pur intesa nel senso più esteso e rinnovato che fornisce la chiave di lettura della «precarietà», scandagliata domenica da Bertinotti «fuori da un certo economicismo» della tradizione del movimento operaio, in una visione persino «antropologica» e «globale», che guarda al «deposito dei movimenti di Seattle e di Genova», alle nuove generazioni politiche invitate direttamente ad «occupare» il «nuovo edificio da costruire» a sinistra.Nella più distesa circostanza della comunicazione con la platea dell'Ambra Jovinelli, dopo l'introduzione di Patrizia Sentinelli tornata nei combattivi panni di candidata romana da quelli di viceministra degli Esteri e dopo gli appassionati interventi a tutto campo, nel campo delle lotte, di quattro figure come uno studente medio, una dipendente precaria del Comune, un universitario e un'attivista ecologista sul territorio, il candidato premier della Sinistra Arcobaleno ha offerto questo «strumento» ad un ben più vasto spettro di «domande e soggetti di liberazione». Quelle che pure formavano la vasta «domanda di cambiamento» cui Bertinotti ammette, con nettezza, «non siamo stati capaci di rispondere» con l'esperienza dell'Unione e del governo Prodi.Domande che restano e che hanno trovato nel frattempo i loro percorsi di «resistenza» e i modi di «esprimere ricchezza». Dalle «donne» e dalla loro «libertà necessaria», alle nuove «figure della cittadinanza» che sono i migranti come le «libere scelte di orientamento sessuale», gay, lesbico, transgender che sia. Dalla difesa dei territori alla ricerca culturale e artistica, all'azione critica dei e sui saperi.Appunto, l'Arcobaleno di tutti i colori del prendere parte. E, intanto, almeno un'altra campagna elettorale è possibile.

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